2023-03-16: Ritratto dell’artista da morto

Luca Misiti: chi era costui?

Nel monologo scritto da Davide Carnevali e ottimamente interpretato da Michele Riondino, inaugurato ieri al Piccolo Teatro Melato, Misiti è un ignoto “desaparecido” argentino, con cui il protagonista viene casualmente in contatto per via di una comunicazione giudiziaria: mentre si trova a Milano per registrare uno spettacolo, gli viene comunicato che un suo lontano parente, emigrato in Argentina decenni prima, avrebbe comprato nel ’78 l’appartamento già appartenuto a Misiti; che ora va restituito alla famiglia dello scomparso, a mo’ di parziale risarcimento. Essendo irreperibile il parente, di cui anche il nonno del protagonista, interpellato, non sa o non vuole dire molto, al protagonista narrante non è rimasto che recarsi sul Rio de la Plata.

Le ricognizioni tecniche dell’appartamento in questione diventano in realtà indagini sulla fine del proprietario, forse facilitata dagli ambigui vicini o dal portiere. Inizia così un processo di conoscenza e addirittura di identificazione con la vittima: rapita o uccisa quando aveva la stessa età del protagonista, nel fatidico giorno della partita Italia-Argentina nei “Mondiali della dittatura”, proprio quando il narratore veniva forse concepito.

In un gioco di specchi molto argentino e quasi borgesiano, il protagonista Michele si rispecchia nel musicista Misiti, che nel ’78 stava a sua volta riscoprendo l’opera di Josef Schmit, alias Ettore Feliciani, musicista italiano ebreo incaricato nel ’38 dal regime di comporre una colonna sonora, impossibilitato nel ’39 a eseguirlaa causa delle leggi razziali, e deportato nel ’41.

Tramite un abile gioco di rimandi testuali che legano epoche e ambiti diversi, il narratore lega la “ultima dittatura” argentina al fascismo (con qualche forzatura, perché, se ricordo bene, la prima non perseguiva ebrei e omosessuali) e soprattutto all’attualità, con le “asettiche stanzette bianche” del centro di prigionia di San Isidro che rivivono nella perquisizione all’aeroporto di Ezeiza, oggi, ma anche ai “reparti di confino” nelle nostre fabbriche dove si pratica mobbing estremo (l’interprete è anche attivista per i problemi dell’ex ILVA di Taranto).

Il lungo e coinvolgente monologo si conclude con una doppia apertura della “quarta parete”: prima il pubblico viene invitato a entrare sul palcoscenico, dove diversi reperti della vita di Misiti sono stati recuperati ed etichettati come testimonianza; poi la viceregista spiega come, per la morte imprevista dell’autore, l’opera sia stata adattata (per esempio smussando discorsi espliciti su torture e aggiungendo brani musicali, ma escludendo un’apparizione finale di Misiti, il cui destino rimane ignoto).

Resta un filo di incertezza sul gioco tra realtà e finzione: almeno la vicenda personale di Misiti è un nucleo storico su cui si è concrezionata l’autobiografia immaginaria del narratore (come sembrerebbe dai reperti esibiti a fine spettacolo), o è anch’essa una “verità storica fittizia”, come sembrerebbe dal fatto che non sono riuscito a trovare riscontri in rete, compresa la pagina Wikipedia dedicata a Schmit/Feliciani, di cui nello stesso spettacolo si parla come di una finzione fatta passare per verità storica?

Si tratta, probabilmente, di un ulteriore messaggio dello spettacolo.

https://www.piccoloteatro.org/it/2022-2023/ritratto-dell-artista-da-morto

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